15/03/2017
Cinema: 'Il diritto di contare'. Il volto femminile della corsa americana allo spazio

Non di rado oggigiorno capita di imbattersi anche in Italia, soprattutto sui social media, nel termine inspiring women, riferito a donne che con la loro vita e il loro contributo hanno fortemente rivoluzionato il volto della società, costituendo un grande esempio per il sesso femminile e non solo. Katherine Johnson, matematica e scienziata afroamericana classe 1918, può essere definita senza dubbio una di queste e il film “Il diritto di contare” ne racconta al grande pubblico in modo appassionante la sua storia.
La pellicola (titolo originale Hidden Figures), diretta da Theodore Melfi, suona come un monito: rivendicare il diritto alle pari opportunità rispetto all’uomo è per ogni donna presupposto indispensabile ad una vita piena e soddisfacente. Tratto dal libro di Margot Lee Shetterly “HiddenFigures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race”, il film racconta infatti la storia di tre scienziate afroamericane che con il loro impeccabile e qualificato lavoro alla NASA e con una straordinaria forza di volontà hanno fortemente contribuito alla vittoria americana alla corsa allo spazio contro i nemici sovietici.
Parallelamente alla storia della protagonista Katherine Johnson, interpretata da Taraji P. Henson, vengono raccontate anche quelle delle sue amiche e colleghe Dorothy Vaughan (Octavia Spencer, candidata per il ruolo all’Oscar), matematica, informatica ed esperta in programmazione Fortran e Mary Jackson (Janelle Monàe), primo ingegnere donna di colore a lavorare alla NASA.
È il 1961 quando il russo Jurij Gagarin compie il primo volo nello spazio, gettando l’America intera nel panico: le conseguenze della sconfitta americana nella corsa allo spazio sarebbero state disastrose in pieno clima di guerra fredda. Mentre nelle case americane risuonano i messaggi di Kennedy, che sogna di allargare i confini dell’umanità oltre l’atmosfera, e il volto di Martin Luther King è l’emblema delle rivendicazioni dei diritti degli afroamericani, la NASA in Virginia lavora duramente e con ogni mezzo umano e tecnologico a disposizione per portare la bandiera a stelle e strisce nello spazio. Lo spessore umano e la lungimiranza del direttore dello Space Task Group, Al Harrison (Kevin Kostner), consentono a Katherine, ex bimba prodigio, di entrare, per la sua sbalorditiva dimestichezza con i calcoli e la sua tenacia, nella squadra impegnata nel progetto Mercury, prima missione spaziale statunitense con equipaggio, quella che porterà John Glenn ad orbitare intorno alla Terra e alla stessa Katherine di entrare nella storia. Fortemente osteggiata all’inizio, tanto per la segregazione razziale che in Virginia vedeva i colored ancora aspramente discriminati quanto per l’impostazione sessista che caratterizzava la società dell’epoca, la scienziata guadagnerà infine con pazienza e con incrollabile orgoglio, il rispetto e l’approvazione che le erano dovuti.
Tra incomprensibili formule matematiche necessarie a delineare traiettorie spaziali, finestre di lancio e percorsi di ritorno, la pellicola di Theodore Melfi racconta una storia di grande umanità e rivendicazione pacifica, ma anche di amicizia. La forza de Il diritto di contare sta, a nostro giudizio, nella sua capacità di restituire allo spettatore un ritratto emotivamente coinvolgente della protagonista-e delle sue gregarie-con cui facilmente empatizzare. Il personaggio di Katherine, dipinto a pennellate chiare e decise, risulta sempre adorabile e, forse, ciò che manca nel film di Melfi sono proprio le ombre, i giochi chiaroscurali, una maggiore complessità narrativa, offrendo invece una distinzione troppo netta tra “buoni” e “cattivi”, con questi ultimi che non possono far altro che ravvedersi sul finale di fronte all’evidenza dei fatti e dei propri errori di valutazione. Ne deriva che il film sia un biopic drammatico soprattutto sul piano contenutistico per i delicati ed importanti temi affrontati, ma che abbia quasi i toni di una commedia, vedi la lunga corsa che Katherine deve affrontare ogni giorno per recarsi alla toilette (la sezione della NASA in cui lavorava era infatti priva di un bagno per colored).
Scene come questa o le incursioni nella vita familiare e sentimentale della protagonista sono funzionali a smorzare di tanto in tanto la tensione emotiva e il tono più serio del film, mantenendo la pellicola piacevolmente scorrevole e godibile, con il suo messaggio chiaro e il suo linguaggio semplice e diretto. Fanno-bene-il resto una colonna sonora che mixa jazz e soul, contribuendo a rendere brioso il film, le scenografie che ricostruiscono gli ambienti degli anni ’60 e gli ottimi costumi.
Maria Marobbio

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