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30/11/2016

Teatro: 'Anelante', al Bellini la geniale rappresentazione di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Teatro: 'Anelante', al Bellini la geniale rappresentazione di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Ieri sera, Martedì 29 Novembre, è andata in scena al Teatro Bellini di Napoli (Via Conte di Ruvo 14), la prima di Anelante, il nuovo spettacolo di Antonio Rezza, autore e performer e Flavia Mastrella, curatrice dell’habitat in cui la performance prende vita. Lo spettacolo, che sarà in cartellone fino a Domenica 4 Dicembre, è il dodicesimo della graffiante coppia di artisti che da trenta anni svolge la sua attività tra teatro, film, libri e televisione. Dopo il debutto nel Novembre 2015 a Torino, Anelante è andato in scena, tra gli altri, al Teatro Vascello di Roma e giunge ora al Bellini, dove Rezza e Mastrella hanno già rappresentato due tra le loro produzioni ormai divenute cult, “Fratto_X” e “7-14-21-28”. Intenso il loro soggiorno napoletano: la scorsa settimana infatti sono stati insigniti del Premio Napoli al Teatro Sannazaro mettendo in scena “Fratto_X” e Rezza si è esibito, gratuitamente, al MAV (Museo Archeologico Virtuale) di Ercolano con “Pitecus”.

Anelante. Participio presente di anelare, simbolo di azione ai limiti del combattimento. Ma a cosa anela l’uomo protagonista del geniale intuito dell’autore? A resistere, forse, alla spietata, caotica e per certi versi virtuale realtà che lo circonda, combattendo strenuamente una battaglia che sembra destinata a perdere, tramutandosi in una sorta di eroe moderno. Lo spettacolo tutto è l’esemplificazione della vita dell’uomo che, ignaro, è prigioniero della realtà che lo circonda, imbrigliato senza scampo nella sua stessa quotidianità. Un uomo che esprime, come sussulto finale, prima del totale cedimento, una forte spinta sessuale, residuo ultimo della sua umanità nella sua forma più primordiale, ai limiti dello scandalo e dell’oscenità.

Da un lato Dio dall’alto di un cielo distante, dall’altro Freud - che sfrutta il fisiologico bisogno umano di cedere alla stanchezza o semplicemente ad un pasto pesante per invadere la vita del malcapitato di turno - sembrano prendersi gioco dell’uomo, che finisce, probabilmente, nell’immaginario dell’autore - che viceversa li ridicolizza - per soccombere ad essi, abituato com’è alla loro invadente presenza.

Sono l’uso energico e talora convulso ed esasperato tanto del corpo quanto della parola il mezzo con cui Rezza e Mastrella esprimono il combattimento. Quel corpo e quella parola che, intimamente connessi da un flusso continuo di movimento, sono i reali protagonisti della scena. Il tutto è accentuato da un elemento inedito rispetto ai precedenti lavori della coppia, la presenza sul palco di altri quattro attori, con i quali Rezza dà vita a momenti di simultaneità di discorsi, suoni e movimenti, lasciando libero lo spettatore di mantenere-o provare a farlo-una visione di insieme o di seguire un singolo performer.

Anelante prende di volta in volta le sembianze di vari personaggi. C’è un matematico che sviluppa, immergendosi completamente in esse con mente, corpo e voce, formule matematiche, richiamando Pitagora e i suoi famosi cateti. C’è un palombaro che cerca di portare la propria voce sino al fondo del mare, tentando di riuscire persino lì dove Dio ha fallito, dove la sua Parola si spugna; si ritroverà ad un passo dalla morte a fare una lunga e profonda riflessione sui suoi piccoli grandi fantasmi familiari fino a chiedersi chi ucciderebbe tra il padre e la madre. C’è un uomo ossessionato dal bisogno di parlare, da lui percepito come assolutamente legittimo, che finisce per ascoltare necessariamente solo se stesso, vedendo, con una certa sadica soddisfazione, miseramente fallito il tentativo di ascoltare gli altri. È un oratore patologico che parla persino mentre legge, cadendo nella folle evidenza di non capire ciò che legge ma di ascoltare solo ciò che egli stesso dice, arrivando ad accusare chi scrive libri di comprare il silenzio di chi legge, la loro omertà nelle propria case. Ci sono infine i potenti della Terra, che provano di volta in volta a riunirsi in un G-qualcosa per decidere le sorti del mondo, scivolando poi rovinosamente in un triste teatrino che vede uscir fuori il peggio di loro stessi.

Lo spettacolo è tutto intriso di una tensione, fisica ed emotiva, che si mantiene costante dall’inizio alla fine senza un attimo di esitazione, di cedimento, evidenziando da parte degli attori-e di Rezza specialmente-una corporalità esplosiva, accompagnata da un flusso inarrestabile di espressioni e parole, tanto da lasciare disorientati gli spettatori quando costretti a silenzi imbarazzanti. Ma, incredibilmente, anche i silenzi di questo spettacolo finiscono per essere pregni di movimento. E anche quando lo spettacolo volge al termine, il pubblico non coglie che sia ora di abbassare veramente il sipario.      

Maria Marobbio

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