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21/08/2016

Libri: 'Al giardino ancora non l'ho detto', l'ultima opera di Pia Pera

Libri: 'Al giardino ancora non l'ho detto', l'ultima opera di Pia Pera

Nel febbraio di quest'anno è uscito questo libro e il 26 luglio successivo la sua autrice è morta, è questa forse l'unica vera premessa da fare per chi si accinge a leggere 'Al giardino ancora non l'ho detto'. Sin dal titolo, la scrittura  impone il suo gusto delicato, mette in campo tutte le forze, quelle di un corpo che sta facendo il suo ultimo giro di giostra e quella di una mente speciale e femminile che guarda al proprio sapere letterario e filosofico di una vita come un unicum, un'eredità da lasciare ad altre vite. Il titolo infatti rimanda ad una poesia di Emily Dickinson che implicitamente si confronterà con l'intero testo.

Pia Pera sa di star morendo e all'età di sessant'anni, e scrive un libro autobiografico che al suo interno conosce svariate forme di scrittura. Si va dal romanzo al dialogo filosofico, come accompagnati da una sofferta prudenza verso la scoperta degli effetti della notizia di una morta certa e precoce sulla mente.

Tutto inizia quando Pia dapprima lascia la sua vita urbana , durante la quale aveva lavorato come traduttrice di autori classici russi e come autrice di narrativa. Si trasferisce nella campagna vicino Lucca. Qui conduce la proprie giornate dedicandosi a coltivare piante, scavare buche, raccogliendo fiori e frutti. Tuttavia un giorno da un leggero zoppicare scopre di essere gravemente malata di Sla, un male che divorerà gradualmente tutti i suoi movementi, dai più faticosi come zappare a quelli istintivi e quasi inconsci come camminare e alzare un braccio.

E' da questo momento tragico che nasce la sua ultima e profondissima riflessione. Le parole approdano ai toni della confessione e bisbigliano con tranquilla sorpresa che per Pia l'avvicendarsi della morte è segno del fatto che stia diventando parte integrale del mondo naturale. Anche lei come una delle sue piante sta lottando contro le intemperie dell'esistenza che malgrado si conoscano le stagioni, possono nascondere un grado di sconvolgimento che ancora non si conosce.

Anche lei deve diventare un oggetto della cura, apportata da se stessa -e forse in ciò consiste la fortuna rispetto al mondo vegetale di essere un essere umano- ribaltando così un ruolo che credeva unilaterale. La forza della natura intorno e dentro sè va quindi assecondata più che asoggettata. Comportarsi in questo modo permette la liberazione da tutte le paure, si ritorna ad un'esistenza primordiale, dove le passioni sono lasciate per un destino di beatudine. Con questo capolavoro Pia Pera si dota di una straordinaria umiltà e fa delle sue ultime riflessioni un "piccolo testamento" per tutti.

Annalisa Davide

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