26/05/2016
Cinema: 'Sole Alto', il film di Dalibor Matanic premiato a Cannes

Da un po’ di giorni nelle sale italiane è uscito ‘Sole alto’, il film del regista croato Dalibor Matanic, premiato a Cannes, una vera rarità per la cinematografia di questo paese. I due attori protagonisti sono i giovani Tihana Lazovic e Goran Markovic. L’ambiente è quello di due villaggi in Bosnia nel periodo in cui il secolo scorso si è congedato in bestiale orrore.
Nel 1991 due ragazzi di due popoli diversi e già nemici anche se la guerra non è ancora scoppiata, cercano di vivere il loro amore cercando di proteggerlo fino alla morte per riscattare dall’interno dell’animo una libertà e un valore che non si comprende perché debba essere rinunciabile, per tutti inferiore all’odio, al conflitto. I protagonisti vengono messi difronte ad una scelta difficile: sopravvivere da soli o rischiare insieme, anche la vita, per un sogno di entrambi?
Nel 2001 gli stessi giovani, con nomi e storie cambiate, si trovano a vivere il post guerra e cercare di adattare la rinascita di sentimenti benevoli al un passato duro a essere digerito, a trovare una collocazione temporale. In cambio non c’è la solidità di una duratura relazione come nel primo caso, magari in vista di un matrimonio, ma addirittura riuscire a vivere in modo sano solo una profonda attrazione fisica, le pulsioni sessuali.
Nel 2011, infine, sono ormai lontani dal conflitto e pur avendo negl’anni avuto un figlio e costruito una casa, non riescono ad accettare la distanza creatasi inesorabilmente dalla data iniziale.
L’assenza dei dialoghi in molte scene rende più lento e logorante il ritmo generale. In poco più di dure ore vengono rappresentati vent’anni di storia. Una storia che sta ancora oggi accanto alla nostra porta e presenta ancora ferite, conseguenze, lascia segni perlopiù ignorati dalle società circostanti. Come in certi romanzi di alcuni decenni fa, si cerca di raccontare come si vive una storia d’amore e di taglio l’affetto e la cura per la famiglia in un momento di guerra. Ma proprio per seguire l’intensità di un’intima lettura e incitare alla riflessione, alla riscoperta di un passato poco passato e tutt’altro che conosciuto, il regista fa spendere poche parole alle immagini.
Lascia volti, paesaggi, scene fotografiche allo sguardo personale di ognuno. Questo film inquieta, disillude, stimola i ricordi personali; il contesto storico, geografico e culturale è ben circoscritto ma riflettere sui danni, sui traumi che un’esperienza di orrore collettivo riversa nelle singole vite, è un approccio di studio più che altro contemporaneo. La psicologia dei personaggi corrisponde a dinamiche non sempre evidenti ma in fondo comuni a tutti. E soprattutto dovrebbero essere ben note ai paesi europei che a distanza di poche centinaia di chilometri e un paio di decenni sembrano non mostrare interesse e quindi conoscenza degli sviluppi economici, e specialmente politici e sociali di ben due comunità, quella croata e quella serba. Tre storie d’amore interpretate sempre dalla stessa coppia di attori, tre amori quasi impossibili per motivi differenti. Ma non tutto forse è perduto. Nella scarna sceneggiatura e nell’essenzialità degli elementi scenografici, c’è un necessario teatro di idee che continua in tutte le scene e schiude un pacifico segreto.
Annalisa Davide

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