12/05/2016
Libri: 'Una bambina senza stella’, di Silvia Vegetti Finzi

Lo scorso 2 maggio, presso Villa Pignatelli a Napoli è stato presentato ‘Una bambina senza stella’, l’ultimo libro di Silvia Vegetti Finzi. Sicuramente è tra libri più belli di questi ultimi tempi. Edito da Rizzoli e sugellato da una delicata e sognante copertina, parla di memoria ed è destinato a restare esso stesso contemporaneamente nella memoria collettiva e intima di ogni lettore.
Silvia Vegetti Finzi è una psicologa clinica, docente universitaria, scrittrice e giornalista e nelle duecentoventotto pagine non viene risparmiato nessun tratto fondamentale della sua complessa coscienza ma per meglio dire, della sua storia. È un libro necessario, prezioso, irrinunciabile, che custodisce il plurale tesoro della memoria della quale è frutto e per il risveglio collettivo della quale si arma di una narrazione, pulita, dolcemente sussultoria; procede senza fronzoli, come fa intrinsecamente una certa, sapiente poesia. Tutti dovrebbero leggere questo libro perché è un raro capolavoro di letteratura contemporanea, senza bugie, scorciatoie e stratagemmi che talvolta gli scrittori attuali usano per celare se stessi da parole che sentono irrisolvibili, proprie di una società alla quale forse vorrebbero ribellarsi ma senza chiari intenti.
Ci s’innamora dalla prima pagina, fa subito venire voglia di leggere ma anche di scrivere, di pensare e parlare: è una pratica sana della memoria in particolare riferimento al periodo dell’infanzia. Non c’è odio, non c’è violenza, eppure l’infanzia narrata è quella della protagonista, e la scrittrice ha vissuto nei terrificanti anni della Seconda guerra mondiale. La scelta di raccontare in sei parti e tanti piccoli capitoli il proprio vissuto è un saggio di consapevole graduale condivisione degli episodi vissuti e degli esercizi di riflessione aperti al lettore. La memoria dell’infanzia e l’infanzia stessa, la memoria del passato in genere, non sono mai un susseguirsi logico di eventi, in cui la legge della cronologia dei fatti regna indiscriminatamente.
Rievocare gli eventi della tenera età sembra qui un rito sacro e imprescindibile. Tale pratica diventa in questo specifico caso letterario anche un modo nuovo per accostarsi a quello che non solo è stato un truce periodo storico ma anche un filone di opere letterarie e un giornalismo nati per raccontare un’Italia che poi si oscurava col finire di ogni racconto e tornava nell’oblio, nella distanza inesorabile che il passare del tempo comporta. Normalmente, infatti, i testimoni diretti di quegli anni bui con un approccio, sebbene con tante sfumature diverse a seconda dell’autore, ma monocolore, nero, buio,non hanno lasciato un tratto comune che unisca in un qualche modo il passato al presente. L’autrice rammenta che questi testimoni sono quasi tutti scomparsi ma esistono ancora tante giornate, tante immagini che può trasmettere lucidamente perché fino a quando si è vivi il passato non è mai abbastanza distante per non potersi ricordare per esempio di una mamma che non è riuscita sempre ad essere amorevole, tenera, attenta nei confronti di una bambina che ora l’autrice sembra prendere per mano e tenerla viva nel suo cumulo di dettagli indistinti per poter superare le difficoltà della vita presente.
Silvia Vegetti Finzi è in questo libro accorta, accorata, ci rassicura. Nulla nasconde; è una donna e una scrittrice speciale, con un‘infanzia anche questa a suo modo speciale e siccome non c’è nulla di peggio che vivere da bambini in periodo di guerra e visto che tutti abbiamo in ogni tempo un’infanzia è davvero il caso di percepire queste pagine come un atto di generosità.
Annalisa Davide

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