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05/11/2017

Cinema: 'Dove non ho mai abitato’, il nuovo film di Paolo Franchi

Cinema: 'Dove non ho mai abitato’, il nuovo film di Paolo  Franchi

Questo film arriva in una maniera piuttosto inaspettata, stando anche a vedere le reazioni che ha suscitato ai festival del cinema di Roma e Venezia. Paolo Franchi, il regista, ci aveva lasciati con ‘Nessuna qualità agli eroi’ e ‘E la chiamano estate’ che tanto, forse troppo, avevano fatto discutere. E ora torna sui grandi schermi con una pellicola dai complessi equilibri perché per certi versi mette a dura prova le reazioni più istintuali dello spettatore. È possibile perché tutto, la regia, la sceneggiatura e la fotografia, punta su due attori mai come questa precisamente adagiati nei contorni della storia e delle atmosfere.

Torino. L’architetto Manfredi è un uomo ormai anziano ma ancora molto lucido. Si appresta a festeggiare il suo ottantaquattresimo compleanno. Per l’occasione torna a casa la figlia Francesca, interpretata da una tenera e sublime Emanuelle Devos. I due hanno rapporto difficile; lei è andata via dall’Italia ancora ventenne per sposare un uomo più grande e potente di lei, al quale poi si è molto sottomessa, appiattendo i suoi interessi, adagiandosi nel suo lusso. Lui è stato un padre o meglio un uomo dalla personalità estrema, geniale, forse in questo senso simile a quella della figlia, nella quale infondo crede. Mentre però Manfredi ha dato sempre libero sfogo al suo genio, Francesca ha compresso le sue qualità accontentandosi di vivere una piccola e grigia parte di se stessa. Sono entrambe architetti ma Francesca dopo le nozze non ha continuato ad esercitare la professione. E fin qui il film procede con un inizio piatto, servito allo spettatore. Il padre è ancora più forte della figlia nonostante lei non sia più una ragazzina. Poi però poco dopo i festeggiamenti, Manfredi ha un piccolo incedente domestico, dal quale non si riprendere alla fine. Nel letto di ospedale chiede a Francesca di occuparsi della ristrutturazione di una villa in campagna insieme al suo giovane e brillante collaboratore, Massimo (Fabrizio Gifuni). Da Francesca è andata via di casa, Massimo è diventato il delfino di Manfredi; e questo è quello che crede la stessa figlia dell’uomo che però dovrà ben presto rendersi conto che nessuno la sostituirà mai, né lei né il suo talento.

A questo punto la trama subisce un primo ribaltamento rispetto all’inizio. Vediamo Francesca riprendere contatto con la sua professione e collaborare con Massimo. Trai due nasce qualcosa di profondo, un’intesa che rimbalza dal livello lavorativo a quello sentimentale. Allora tutto sembra procedere per il e meglio: sembra che Francesca ritornerà ad amare un uomo per quello che è non per come la rappresenta, ritornerà al suo lavoro e al suo talento; e al contempo Massimo avrà trovato la sua anima gemella, lasciando la parte falsi ed effimeri amori. Ma il finale tradisce e rimescola le carte. Semplice e sorprendente, triste ma ampiamente riflessivo, lascerà lo spettatore con addosso la sensazione di aver inteso forse troppo tardi cosa si nascondeva dietro la lenta fotografia, le sonorità intense di cui il film è quasi come d’inganno pervaso.

 

Annalisa Davide

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