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18/06/2015

Cinema: Fury, Non solo l’orrore della guerra ma anche sprazzi di umanità

Cinema: Fury, Non solo l’orrore della guerra ma anche sprazzi di umanità

Attesissimo, Fury è approdato nelle sale cinematografiche italiane a distanza di un anno dall’uscita negli USA; probabilmente anche questa la ragione della grande curiosità intorno al film, che si candida ad essere l’erede ideale di “Salvate il Soldato Ryan”. Il film, scritto, diretto e prodotto da David Ayer-già sceneggiatore di film di successo quali “The Fast and the Furious”-si propone di offrire una prospettiva sulla guerra da un insolito punto di vista, quello di un giovane credente riluttante al solo pensiero di imbracciare un’arma.

È l’aprile del 1945. Le truppe statunitensi sono penetrate nel cuore della Germania e si lotta strenuamente per decidere le sorti finali del più grande conflitto che l’umanità ricordi. Il valoroso sergente Don Collier-interpretato da Brad Pitt- è sopravvissuto ad altre pericolose campagne militari ed è a capo di un gruppo di soldati cui vengono affidate rischiose missioni a bordo dell’indistruttibile tank Sherman.

La forza della “squadra” sta tutta nella coesione quasi fraterna sotto la guida del sergente, soprannominato dal gruppo Wardaddy, che ha promesso ai suoi uomini che un giorno avrebbero fatto tutti ritorno a casa sani e salvi. Di qui la disperazione per la perdita di uno degli uomini, tiratore scelto del gruppo. Ma non c’è tempo per piangere in guerra, quando ogni istante la vita è in pericolo e soprattutto quando i tedeschi sono disposti a tutto pur di resistere. La perdita di un uomo impone così la sua sostituzione: gli eserciti sono decimati e tutti sono reclutabili per combattere, anche un giovane dattilografo. Viso pulito, sguardo non contaminato dalle atroci brutture della guerra, Norman Ellison (Logan Lerman) si unisce, smarrito e terrorizzato, al gruppo guidato dal sergente Collier, che non può far altro che addestrarlo brutalmente all’orrore, ad uccidere senza pietà, a reggere alla vista di corpi calpestati come macerie e all’odore di carne in putrefazione. Il suo credo, l’ingenuità, l’inesperienza, l’incapacità di provare odio verso un “fratello” nulla possono di fronte alla necessità di consentire a sé e ai suoi compagni di sopravvivere. Il giovane Ellison è costretto ad imparare rapidamente ad eseguire al meglio il compito affidatogli, uccidere implacabilmente e senza minima esitazione; il gruppo ritorna così ad essere coeso nello spirito del più assoluto cameratismo e prosegue la sua missione sino all’ultimo scontro, in cui i soli 5 uomini ed il loro carro armato si trovano a dover fronteggiare un esercito di sanguinarie SS.

Come in ogni film di guerra che si rispetti, anche in Fury grande spazio è riservato a tutto ciò che della guerra è incarnazione dell’orrore: brandelli di corpi, sangue a profusione, esplosioni, devastazione, violenza nella sua forma estrema, nel tentativo, in questo caso, di riprodurre sullo schermo l’incubo della seconda guerra mondiale, scelta ancora-e probabilmente ancora molto a lungo-come tema cinematografico. Come in precedenti pellicole dello stesso genere però anche Fury  tenta di mettere in risalto gli aspetti più umani della guerra stessa: i segni indelebili della violenza nel corpo e nell’anima, la paura, la costante tensione, lo sfinimento psico-fisico, il bisogno di condivisione, che si tratti di una sigaretta, di una bottiglia di alcool o della lettura di un passo della Bibbia.

Ayer pone l’accento sulla necessità di gesti di normalità, di un pranzo seduti intorno ad una tavola imbandita o dell’incontro con una donna, per sopravvivere alla morte interiore, alla negazione della vita stessa nell’aberrazione della guerra. Ci sono anche il bisogno di appartenenza, l’innato senso di protezione verso il più giovane, che nasce nel più maturo, il senso della fratellanza, del gruppo, unico sostegno nella prova, anche nel momento estremo della morte. E di fronte ad essa, anche nella più ripugnante delle condizioni in cui l’uomo può trovarsi, c’è posto per uno sprazzo di umanità, per il rispetto, l’affetto, la pietà, c’è il bisogno di redenzione che si esprime con la preghiera.


Non si può propriamente affermare che Fury apporti un contributo di originalità al classico film di guerra/azione ma sicuramente le note di introspezione che lo caratterizzano creano sfumature che smorzano i colori tetri della violenza efferata e della morte. Non solo colpi di mitragliatrice, carri armati, corpi sgozzati e il classico “buoni contro cattivi”, ma il conflitto dal punto di vista dell’uomo e di uomini diversi, ciascuno con la propria vita, compresi punti di forza e fragilità.

Ed è proprio la sceneggiatura del film a rendere intensa ed efficace l’interpretazione di Brad Pitt, che oltre a sfoggiare come di consueto una forma fisica impeccabile e tutto il fascino di uno dei più belli di Holliwood, emoziona in un ruolo in cui alterna freddezza spietata e profonda umanità. Encomiabile il giovane Logan Lerman, che per nulla appare intimorito dal recitare fianco a fianco di Pitt, instaurando anzi con lui un’intesa funzionale al rapporto quasi di padre/figlio tra il sergente e Norman Ellison. Nel cast anche Shia LaBeouf, Micheal Peña e Jon Bernthal.

Maria Marobbio

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