12/06/2015
Teatro: Creonte/Antigone, la storia di un conflitto senza tempo.
Una storia fatta di intensi legami familiari che si scontrano tra loro e con le fredde ragioni di Stato, personaggi dalle molteplici sfumature, dialoghi scarni, movimenti corporei che catalizzano l’attenzione dello spettatore, una scenografia praticamente assente: tutto questo e molto altro in una delle tragedie greche più famose, più amate e più rappresentate di sempre. Ecco che, come spesso abbiamo avuto modo di constatare durante la stagione teatrale pronta a chiudere i battenti, una giovane compagnia-sia per età che per maturità artistica-si cimenta con un vero e proprio “mostro sacro” del teatro classico, con grande umiltà e con una passione che è immediatamente palpabile tanto all’apertura quanto alla chiusura del sipario.
Gli conferisce, pur rimanendo piuttosto fedele in termini di trama e senza troppi sconvolgimenti, un’aria di freschezza che potrebbe essere-e lo speriamo-l’occasione per avvicinare al teatro un pubblico meno avvezzo a frequentarlo, soprattutto i giovanissimi. Si parla in fondo di temi con i quali prima o poi tutti ci confrontiamo nel corso della vita: relazioni familiari, diversità di caratteri e di indole, contrasto genitori-figli, doveri, potere politico-sebbene, consentiteci, con un’accezione piuttosto diversa da quella dei nostri giorni-amore, separazione, morte. Ma è il contrasto il vero e proprio protagonista della rappresentazione.
CREONTE/ANTIGONE di GAG Produzioni è andato in scena dal 5 al 7 giugno al Teatro Il Primo di Napoli (Viale del Capricorno 4), con la regia di Giuseppe Fiscariello, cui va il merito di aver creduto fortemente e portato avanti un progetto ambizioso, che-supponiamo-avrà scaturito non poche titubanze agli occhi dei fedelissimi del teatro classico ancor prima di andare in scena. Ci auguriamo che gli stessi spettatori possano comprendere quanto un’opera dal valore inestimabile-quanto la tragedia di Antigone-sia così intrisa di elementi preziosi per comprendere le dinamiche dell’uomo e della società, da applaudire chi tenta di renderla essenziale e fruibile ad un pubblico più vasto e in chiave più “moderna”, esaltando così la funzione sociale del teatro, che crediamo essere tutt’oggi uno strumento per scuotere coscienze spesso anestetizzate.
Antigone (Sara Esposito) ed Ismene (Claudia Esposito) sono due sorelle unite da un amore viscerale pur nelle loro diversità: la prima, coraggiosa e sanguigna, la seconda timorosa e dalle belle fattezze. La mancata sepoltura di uno dei due fratelli è il motivo del grande scontro tra di loro; Antigone è decisa a dare al fratello degna sepoltura affinché la sua anima non vaghi schiava dell’inquietudine per l’eternità ed è pronta a sfidare Creonte (Giuseppe Fiscariello), il sovrano di Tebe, nonché padre di Emone (Valerio Lombardi), l’uomo che ella ama.
La legge prevede infatti la morte per chiunque osi contraddire la volontà del re: Pollinice, fratello delle ragazze, in quanto traditore, non merita sepoltura, il suo cadavere è destinato a decomporsi davanti agli occhi del popolo, affinché sia di monito per tutti coloro che osano sfidare Creonte e la sua autorità. Ismene, sebbene addolorata per il triste destino del fratello, non mette per un attimo in dubbio la sua scelta: non ha senso secondo lei perdere la vita, rinunciare ai propri giorni, anche se per una causa così nobile e tenta invano di convincere l’amata sorella a rinunciare al suo progetto, alla sua folle ribellione. Lo stesso Creonte, altrettanto invano, tenta di dissuadere la nipote Antigone, perché sa che nulla, nemmeno l’affetto per lei né l’amore che il proprio figlio nutre per la ragazza, possono essere ragioni valide per venir meno al suo dovere, al tenere salde le redini del suo Stato, che impone la morte di chi osa ribellarsi. Le sue guardie, schiave del potere, interpretate da Michela Di Costanzo e Domenico Carbone, non possono fare altro che ricordare a Creonte che il destino che attende la ragazza è lo stesso di qualsiasi altro cittadino. La morte di Antigone è dunque necessaria, è il sacrificio per un bene più alto, anche se comporta un dolore inaccettabile, anche se è la causa dell’odio del suo stesso figlio, che finirà per uccidersi per aver perso la sua innamorata.
La forza dello spettacolo è nell’adattamento del testo e nelle scelte registiche: sono i personaggi e le loro relazioni a costruire la rappresentazione, coinvolgente, vibrante, sufficiente a se stessa, tanto che la scenografia diventa superflua, molti dialoghi sono sostituiti dai gesti-stupenda la ricostruzione dei giorni dell’infanzia di Antigone ed Ismene, tra capricci ed amore incondizionato-e il movimento corporeo, talora lieve ma più spesso carico di tensione, è l’elemento imprescindibile, è l’elemento che ha il maggiore impatto sul pubblico e che con straordinaria immediatezza veicola il senso dello spettacolo. Unico oggetto di scena, vero protagonista, è un drappo rosso, la relazione umana, che si allenta e si tende tra i personaggi che si muovono sul palco, unendoli, dividendoli, abbracciandoli, soffocandoli, allontanandoli, liberandoli, imprigionandoli. Intenso ed emozionante il dialogo tra Creonte ed Emone, padre e figlio, esperienza ed autorità che si scontrano con la giovinezza, l’impeto dell’amore, la voglia di libertà, sino a condurre Emone al crollo della figura paterna, unica via possibile, secondo Creonte, perché un figlio divenga adulto, perché recida per sempre il cordone ombelicale che lo tiene legato alla propria famiglia.
Le performance attoriali sono anch’esse di grande intensità per come è concepito il movimento degli attori sul palco, che talora sembra essere una gabbia nella quale i personaggi si muovono convulsi, risultando quasi intrappolati, così come ogni individuo è intrappolato nella rete dei propri contrasti, delle proprie difficoltà, delle proprie relazioni, delle proprie scelte. Da sottolineare la prova di recitazione di Sara Esposito e di Giuseppe Fiscariello, nonché quella della voce narrante, Paolo Gentile, sempre impeccabile, che dà vita, tra l’altro, ad una commovente scena finale nella quale, sfogliando i petali di una rosa bianca, racconta malinconicamente l’amore di Antigone ed Emone, i cui corpi eseguono una vera e propria danza d’amore. Un unico petalo viene posto sul drappo rosso che li riveste giacenti sul pavimento: l’amore, forse, genera ancora una speranza.
Non ci sono dunque né vincitori né vinti, come Fiscariello precisa nelle note di regia. Ci sono solo dei personaggi, che potrebbero idealmente assumere le sembianze di qualsiasi individuo o realtà che vive un contrasto. La storia, allora, è solo il mezzo per raccontarlo e quasi sembra avere né un inizio né una fine: del resto, è del tutto inimmaginabile una vita il cui motore non sia il conflitto, che modificando la realtà, ne genera continuamente una nuova.
Maria Marobbio
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