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08/09/2014

FRIDA KAHLO, l'artista che trasformò il dolore in arte

A Roma, straordinario successo per la mostra della pittrice messicana

FRIDA KAHLO, l'artista che trasformò il dolore in arte

Si è da pochi giorni conclusa la mostra “Frida Khalo”, che è stata ospitata nella Capitale dal 20 marzo al 31 agosto, presso le Scuderie del Quirinale con un bilancio più che positivo dal punto di vista delle presenze che conferma il trend degli ultimi anni, ossia il crescente interesse verso artisti contemporanei. A tal proposito, ricordiamo che Genova, nella sede di Palazzo Ducale, ospiterà, dal 20 settembre 2014 al 15 febbraio 2015, un’altra mostra dedicata all’artista messicana, concentrandosi sulle reciproche influenze tra la produzione artistica di Frida e quella del grande amore della sua vita, il pittore Diego Rivera.

Anche per la mostra capitolina non si può prescindere dal rapporto simbiotico esistente tra i due, per comprendere il significato simbolico e il tormento interiore da cui scaturiscono le opere presentate. Due grandi temi segnano infatti la vita e l’attività della pittrice messicana: una salute precaria (le viene diagnosticata la spina bifida a soli 7 anni, soffre di depressione, subisce aborti e l’amputazione della gamba destra) e l’amore tormentato con il due volte marito, Rivera, di 20 anni più grande, che la accompagnerà in maniera altalenante fino al suo decesso, avvenuto nel 1954, nella “casa Blu”, la sua dimora, oggi Museo a lei dedicato.

A soli 17 anni Frida è coinvolta in un incidente mentre viaggia su un autobus, nel corso del quale viene trafitta da un’asta di metallo, che la costringerà ad una lunga convalescenza ma rappresenterà l’occasione per dare inizio al suo percorso artistico; è proprio durante il periodo di immobilità a cui è costretta che inizierà a dipingere.     

La mostra rappresenta un vero e proprio viaggio attraverso l’universo privato e l’attività artistica di Frida, che appare non soltanto intrisa di elementi della cultura messicana, da quelli delle popolazioni indigene alle tradizioni folkloristiche, ma anche fortemente influenzata dalle vicende storiche che la sua nazione vive, una su tutte la “Rivoluzione Messicana”, di cui si considera una figlia.

Autoritratti pregni di vita, sofferenza, tormento sentimentale perché lei stessa amava affermare «dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio». Quindi elementi reali, ma anche simbolici, che si  fondono sapientemente in «Ospedale Henry Ford» o «Il letto volante».

L’evento autobiografico, il primo aborto, è reso attraverso un dipinto in cui, Frida, distesa su un letto di ospedale sospeso nel vuoto, patisce le sofferenze dell’emorragia, nuda, piangente e col ventre gonfio, circondata di elementi anch’essi sospesi e collegati alle sue mani attraverso cordoni rossi simili a vene: il feto appena morto, le ossa del bacino e il ventre, una lumaca, un’attrezzatura ospedaliera, un’orchidea. Sullo sfondo, una città spettrale, Detroit. 

I colori vividi, tipici della lussureggiante natura messicana, animali(scimmie, pappagalli, farfalle), gli abiti popolari e coloratissimi con i quali si dipinge, incantano lo spettatore e lo coinvolgono emotivamente in un climax di sensazioni, dal dolore alla vitalità, dalla morte all’amore.

Emblema della dedizione incondizionata a Diego Rivera, l’autoritratto, “Il sopravvissuto”, in cui Frida, è completamente avvolta da una veste bianca e lilla, che ricorda un abito nuziale, da cui si dipartono raggi, probabile allusione al contatto della donna con la natura e l’universo. I capelli sono decorati da una composizione floreale, il volto è l’unica parte scoperta ed è caratterizzato dall’immagine di Diego al centro della fronte, al centro, cioè, dei pensieri e della vita dell’artista.

La mostra è arricchita da fotografie scattate da Muray, nelle quali Frida appare spesso gioiosa e circondata di affetti, sempre vestita in maniera eccentrica e adornata di collane, orecchini e fiori colorati, e da pannelli che riportano alcune delle sue frasi più famose. Per voi, abbiamo scelto questa: È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: “io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini.”

Maria Marobbio

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